BABY GANG. UNA NUOVA VITA È POSSIBILE

baby gang

Baby gang. Basta accendere la radio, la televisione o aprire un social media per ascoltare o leggere storie di cronaca terribili e che ci mettono in allarme soprattutto quando sentiamo la parola baby gang.

Eh sì, un termine che è entrato nei nostri dizionari e che sta a significare una banda di giovanissimi teppisti. Ma è tutto qui? Chi sono i teppisti? Chi fa parte della teppa ossia chi è malvivente e un vandalo. Sicuramente oggi è un fenomeno molto più grande, più complicato e che, per questo, desta una forte preoccupazione nella società.

Tutti, dinanzi a questa problematica, ci sentiamo spaventati e anche abbastanza confusi. Ma una nuova vita è possibile? Noi pensiamo di sì.

Le baby gang sono gruppi di adolescenti, poco più di bambini, che hanno sviluppato una vera e propria forma di microcriminalità organizzata.

Secondo gli ultimi dati raccolti dai Centri per la Giustizia Minorile (organi periferici del Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia), l’aumento dei crimini ad opera delle baby gang è in costante aumento. Si parla di oltre il 50% di minori di età denunciati negli ultimi anni.

Tutto questo porta a parlare e a doverci occupare della preconizzazione dell’ingresso nel circuito penale da parte dei minorenni.

Precisiamo che a seconda della fascia d’età in cui un ragazzo realizza un reato c’è una diversa risposta da parte dello Stato. Ovviamente, quando la fascia d’età è molto bassa, si tratta di bambini e lo Stato riconosce una capacità d’agire non rilevante a livello penale. Nonostante questo, possono essere attivati specifici servizi sociali che hanno lo scopo di monitorare e, cercare di stroncare sul nascere determinati pericoli circa la commissione di reati, legati anche al contesto sociale e familiare in cui questi bambini si trovano. Poi c’è una fascia d’età, per cui nella nostra legislazione non si è perseguibili penalmente, ma si può incorrere nelle cosiddette misure di sicurezza.  Infine, al contrario, i ragazzi che hanno dai 14 ai 18 anni, sono ritenuti soggetti con un grado di maturità tale da poter essere perseguiti penalmente.

Ed è proprio l’ultima fascia ad essere infatti maggiormente coinvolta nella commissione di reati.

Una problematica che oggi, rispetto al passato, ha visto un aumento della sensibilizzazione da parte dell’intera società, che ha portato, da un lato, a un aumento delle denunce sia per le forme sempre più aggressive delle baby gang (pensiamo ai baby boss che di Napoli che hanno sostituito i vecchi boss, finalmente reclusi e che, paradossalmente sono anche più spietati e incoscienti), sia perché si è coscienti di quanto l’intervento e la presenza dello Stato sia in questi casi necessaria. Dall’altro lato, si ha anche la consapevolezza che solo se la società si occupa e condanna duramente questo agghiacciante fenomeno, si può tentare di arginare e aiutare questi giovanissimi ragazzi, prima che buttino via definitivamente la loro vita e con essa anche le vite delle loro incolpevoli vittime.

Un altro dato importante da segnalare che, a differenza del passato, in cui il terreno d’azione erano i reati contro il patrimonio, oggi, la criminalità minorile, il fenomeno delle baby gang riguarda soprattutto la commissione delle azioni delittuose di particolare violenza come quelle contro la persona e contro la famiglia, che un tempo rimanevano residuali ed eccezionali.

In altri termini: gli adolescenti, diventano protagonisti di fatti costituenti reati di una certa gravità, non confinati a reati di devianza sociale.

Ma come rispondono lo Stato e le istituzioni alle baby gang? A questa forma “speciale” di malavita? Certamente, bisogna intervenire, ma in che termini? La prevenzione può essere importante? Come? Con l’aiuto di chi? Qual è la risposta dello Stato? E’ pensabile che questi ragazzi cambino rotta e quindi vita?

Studiosi ed esperti di diritto coadiuvati da altre figure tecniche esperte di psicologia e sociologia si chiedono se è giusto che un soggetto che non ha, per legge, ancora la piena capacità di agire la quale si raggiunge al compimento del 18esimo anno d’età, finisca in carcere al pari di un adulto che ha violato delle norme. E ancora, se sia possibile educare un soggetto in fieri in un istituto penale minorile.

Senza dubbio è difficile dare una risposta univoca e certa a tali interrogativi e il dibattito è continuamente aperto. La nostra Costituzione e il nostro ordinamento penale sanciscono il principio della rieducazione della pena, a maggior ragione tale obiettivo è primario e fondamentale nei casi in cui la commissione di reati sia ad opera di minori d’età.

Partirei proprio a porre l’attenzione sulla parola: “rieducazione”,  per rendere possibile la realizzazione di una nuova vita.

Eppure accostare la parola rieducazione al carcere, luogo in cui lo Stato ha comunque ritenuto necessario collocare i ragazzi per tal fine sembra evocare un ossimoro, ossia quella figura retorica che nella stessa frase, accosta parole che esprimono concetti diversi.

E tra l’altro, quali altri strumenti mette a disposizione lo Stato italiano per raggiungere questo obiettivo?

Rieducare consiste nel far conoscere le regole, i principi, i valori sociali e giuridici, che, molto spesso, a causa del contesto familiare, territoriale, sociale in cui questi ragazzi sono cresciuti, non hanno conosciuto o non hanno assimilato. Non basta, bisognerà insegnargli a condividere con gli altri, a fare del bene. Educare è questo e molto di più.

Durante i miei studi e le mie esperienze ho capito che il vero obiettivo della rieducazione, in realtà, viene realizzato se si riesce ad educare alla libertà.

Educare alla libertà significa far apprezzare il senso della vita… significa mostrare il bello della vita, ma far capire anche che di fronte alle avversità o alle ingiustizie della vita non si scappa, né peggio si risponde con impeto e azioni criminose.

Educare vuol dire insegnare a essere cittadini onesti, libertà a vivere il quotidiano, favorire la crescita, spingere il ragazzo ad assumersi le responsabilità delle scelte che compie e delle conseguenze che queste comportano per portarlo nel faticoso mondo degli adulti.

Educare vuol dire dare l’esempio… a partire dallo Stato che perseguita la giustizia per la salvaguardia e la realizzazione di ogni principio e valore per ogni uomo.

Una volta commesso il reato, sono gli educatori a rivestire un ruolo fondamentale nel percorso rieducativo di questi minori, autori di reati.

I ragazzi, con il sostegno e il supporto di questi specialisti, devono riuscire a rielaborare il reato stesso, cioè acquisire la coscienza di quanto è stato fatto e dei motivi per cui è stato compiuto, come coscienza e responsabilizzazione.

In primis devono comprendere, realmente, il male che è stato fatto a se stessi e a chi l’ha subito e, quindi, riuscire ad operare una scelta tra il rispetto o la violazione di una norma.

Il percorso di educazione non è prestabilito e non è standardizzato: non vale per tutti e non è caratterizzato da tappe sempre uguali.

L’educatore non si confronta con “casi” o “categorie” standard, ma con individui.

E’ nodale sottolineare proprio questo: ogni ragazzo ha la sua personalità, la sua storia, un suo contesto famigliare, una sua visione delle cose che probabilmente possono essere simili a quello di un altro ragazzo che si è macchiato dello stesso reato ma è pur sempre un ragazzo da trattare individualmente, per la sua personale storia.

Per poter far funzionare il percorso di rieducazione, è necessario che gli educatori riescano a creare un FEELING tra loro e il ragazzo in modo da gettare le basi del cambiamento, altrimenti l’adesione alle regole e il processo di educazione saranno puramente formali e, una volta usciti dal carcere, molto probabilmente, i ragazzi riprenderanno a fare la vita che precedentemente facevano.

Oltre a ciò, è importante che il minore intuisca, da parte dell’adulto, un reale interesse nei suoi confronti e una sospensione del giudizio, in questo modo il ragazzo riesce ad avvicinarsi all’educatore e ad ascoltarlo, dimostrandosi maggiormente disposto a mettersi in gioco.

L’educatore non deve in nessun modo commettere l’errore (e non sempre è facile) di giudicare il ragazzo per il reato che ha commesso, né tanto meno, identificandolo con esso.

Nessun tipo di valutazione etica, rispetto a quanto è stato compiuto dal minore, è concessa.

Con questo percorso si riescono a scoprire e, pertanto, a focalizzare le cause che hanno spinto il minore a delinquere in modo da poter reagire.

L’esperienza in carcere non deve assolutamente essere di tipo repressivo e punitivo, ma, con tutte le difficoltà, assumere – almeno in parte – un significato positivo cercando di ridare loro dignità e valore.

Per realizzare quella nuova vita di cui si parla nel titolo è importante costruire con i ragazzi un reale percorso di cambiamento e di educazione alla libertà.

Gli educatori devono costruire progetti non sui ragazzi, ma CON i ragazzi.

L’atteggiamento giusto e proficuo è quello di lavorare insieme, creando con i minori prospettive future, diverse e lontane dal carcere, con concrete e reali possibilità di successo, una volta terminato questo percorso rieducativo.

I ragazzi vengono coinvolti innanzitutto in un percorso su se stessi in chiave completamente diversa da quella finora conosciuta.

Si aiutano gli stessi a far emergere le loro idee, i loro sogni e le loro aspettative di vita.

Anche il percorso scolastico è rivisto, reso più stimolante in base alle loro capacità e programmi, così come si fanno vivere diverse esperienze, forse mai provate, da quelle sportive, artistiche a quelle professionali.

Nonostante tutto questo impegno da parte degli educatori e quindi dello Stato, emerge chiaramente anche un’importante constatazione, oltre che riflessione.

Puntando sul VALORE e sulla BELLEZZA della LIBERTA’, il ragazzo è stimolato a comprendere e quindi a compiere un percorso di scelte diverse, in antitesi a quelle compiute nel passato, ma in un luogo, il carcere che è pur sempre, per la sua struttura e il suo funzionamento, la negazione della libertà stessa.

Il contesto in cui si opera contraddice profondamente l’obiettivo principale prefissato.

Quest’ultimo aspetto, come frequentemente, studiosi di diritto, di psicologia e di altre branche riportano all’attenzione, andrebbe rivisto e riconsiderato in vista di una vera e concreta possibilità di NUOVA VITA.

Un mondo migliore potrà essere realizzato solo da ragazzi consapevoli, che hanno avuto la possibilità di capire che, essere la migliore versione di se stessi, in un mondo che spesso è ostile e non certamente facile, è la strada percorribile più fortunata e… felice!!!!

Adriana Fucci

dott.ssa in Giurisprudenza

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